The Only Girl You Haven't Seen Season 2
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This review may contain spoilers
Inferiore alla prima serie
Pur rimanendo un'ottima serie, risulta un pochino inferiore alla prima. A un certo punto la trama se n'è andata un po' dappertutto, ci sono state situazioni piuttosto risibili e i cattivi, alcuni nemmeno tanto previsti, sono stati sconfitti troppo facilmente. La cosa peggiore però secondo me è stato che alla protagonista non hanno fatto un buon servizio. Mentre il protagonista maschile ha continuato ad amarla senza se e senza ma anche se lei gli aveva mentito, lei d'altro canto è stata fin troppo cattiva nei suoi confronti e l'ha abbandonato addirittura due volte di cui la seconda quando lui era già imperatore. Poco plausibile che dopo qualche tempo lui se la sia ripresa e nessuno abbia detto niente: stiamo parlando di un imperatrice che deve essere al di sopra di ogni sospetto agli occhi della corte e del popolo.Ad ogni modo una serie molto gradevole per il tipo di dramma che è, ben realizzata tutto sommato, con un lavoro di cinepresa certamente non sciatto, dei buoni costumi e un commento musicale abbastanza sul pezzo. Mi è piaciuta molto l'interpretazione della coppia protagonista e soprattutto quella del terzo Principe. Sicuramente non è stato tempo perso e se mai faranno una terza serie la guarderò di sicuro.
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Inusuale, "antico" ma godibile
Tenuto conto che si tratta di un film che ha quasi vent'anni, girato in Corea, tanto di cappello. E' ovvio che non può essere paragonato ad un'opera dei giorni nostri.Un Lee Joon Gi ancora in boccio, ma che già prometteva quel che ha poi mantenuto, e anche tutto il resto del cast ha funzionato alla grande. E' normale che nella lunghezza di un film si perdano molte sfumature, la storia si sarebbe forse potuta migliorare con un breve drama, ma anche così è stata soddisfacente.
Forse un po' oscuro e sospeso il finale, in linea con le ultime inquadrature che vedono i protagonisti sospesi per aria.
Un'ottima visione, per me.
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carino per essere così breve, finale affrettato
un mini drama di tutto rispetto, forse coi soliti temi della reincarnazione e della vendetta. le solite rivalità e vendette familiari condotte in un ambientazione minimalista con pochissimi personaggi che, tuttavia, sono efficacemente recitati dai vari attori. i costumi sono sufficienti così come le ambientazioni e la musica non è di disturbo. è ovvio che non c'è molto tempo per approfondire il carattere dei vari personaggi ma il tutto rimane comunque molto godibile, almeno fino alla fine, quando le fila vengono tirate in maniera affrettata e un po' troppo semplicistica. il fatto che poi, come solito a causa della censura cinese, tutto il discorso della reincarnazione venga ridotto all'abusato Cliché del sogno, non fa altro che detrarre alla piacevolezza. forse sarebbe un po' più di sette e mezzo, ma di sicuro non arriviamo a 8. il lato positivo di tutta la questione è che, essendo così breve, non ci perdiamo in subtrame di nessun interesse: la storia sfila liscia fino alla fine e in definitiva ci lascia un buon sapore in bocca.Was this review helpful to you?
mini drama con un'anima troppo sottovalutato
ogni tanto capita di incappare in una piacevole sorpresa e questa è una di quelle volte. questo mini drama, per quanto lo faccia in maniera forse troppo scoperta, se vogliamo, è una di quelle rare perle che ci fa riflettere su di noi, sulla nostra vita, su quella che è la pressione che è la società intesa come massa dei nostri pari, che ci spinge a comportarci in maniera contraria a quelli che sarebbero i nostri veri desideri e a quella che sarebbe l'aspettativa che abbiamo per la nostra vita. per contro, il fatto di mostrare costantemente una maschera a chi ci circonda distrugge la percezione che abbiamo del nostro sè e ci porta tutta una messe di insicurezze perché non siamo più in grado di capire quale sia la persona, la maschera con cui si rapporta il nostro prossimo: saremo simpatici, saremo amati per come recitiamo, per il nostro personaggio, o per come siamo veramente? a questi e ad altri interrogativi da una risposta questa serie , forse in maniera un po' infantile, ma comunque in modo abbastanza intelligente. gli attori si sono comportati tutti più che bene, sia la coppia principale che è molto carina e piacevole, sia le spalle e i personaggi secondari, che hanno fatto tutti il loro dovere. ampiamente promosso e consigliato.Was this review helpful to you?
miniserie simpaticissima e senza troppi fronzoli
sono solo 12 episodi da 20 minuti ciascuno, proprio quello che serve per sviluppare una storia dalla trama lineare, senza giri di parole. forse lascerà alcune cose inspiegate, magari il finale sarà un po' improvviso, qualcuno potrebbe addirittura dire che non ha capo né coda. la famiglia antagonista che in teoria dovrebbe avere un sacco di cattive aspirazioni in realtà si vede solo nella figura della figlia che vorrebbe a tutti i costi sposare il protagonista, il tutto risulta un pochino sospeso nello spazio e nel tempoparrebbe una recensione negativa ma in realtà non è affatto così, perché il punto di forza di questo mini drama è l'evoluzione del rapporto della coppia principale e, in seconda istanza di quella secondaria costituita dal fratello del protagonista e dalla moglie. è chiaro che si tratta di un lavoro a bassissimo budget, ciò nonostante sia le ambientazioni che i costumi si difendono senza troppa difficoltà.
il protagonista maschile ha lavorato molto poco nell'ambito della recitazione questo era il suo primo drama all'apparenza e direi che se l'è cavata più che bene.
anche per la protagonista femminile si trattava del primo ruolo in un drama e anche su di lei, tutto considerato, non si può dire nulla di male successivamente però lei ha continuato a lavorare nel mondo dei drama pur senza eccellere.
in definitiva si tratta di uno show che si guarda volentieri per passare un paio d'ore simpaticamente a patto di non pretendere nulla di eccezionale anche dal punto di vista dell'approfondimento dei personaggi. è una commedia romantica e nulla di più
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Pane, amore e fantasia
D'accordo, il pane c'entra poco, ma è forse l'unico cibo che non vediamo in questo show. A pensarci a serie finita, uno potrebbe quasi pensare che metà del tempo sia passato nel vedere qualcuno cucinare, normalmente la protagonista, ma spesso anche altri cuochi. Ovviamente non è lei personalmente a cucinare, ma è molto interessante vedere queste scene anche se alla lunga il commento musicale che le accompagna diventa un tantino noioso. Bisogna veramente riconoscere i meriti del regista E di chi ha effettuato le riprese perché molto spesso si tratta di scene filmate con angolazioni particolari belli scenari belle riprese in generale anche ma non solo riguardo al cibo.La musica in generale è abbastanza godibile pur se in realtà non molto varia, mentre le ambientazioni sono decisamente curate e adatte al tipo di spettacolo. I costumi sono per lo più piacevoli, anche se le divise dei componenti della scorta, viste da vicino, danno a volte un'idea di plasticaccia. Presumo che dovrebbe trattarsi di pelle e cuoio, ma in realtà spesso somiglia più alla tela cerata.
A parte questi piccoli dettagli tutto sommato abbastanza secondari, la recitazione di tutti quanti è decisamente sopra il minimo edittale. La protagonista Tang Min , che avevo già visto in General' s lady, è molto piacevole alla vista e, anche se non dotata di una bellezza stellare, si fa ben valere in questo ruolo di commedia leggera.
Il protagonista finora non ha partecipato ad altri drama in veste di ML, e si comprende perché: decisamente non ha una bellezza classica rispetto a tanti suoi rivali, non so se per il trucco necessario per il drama in costume, ma sembra diversi anni più vecchio della sua età anagrafica e anche dal punto di vista della recitazione non è che sia propriamente il massimo, specialmente quando deve ridere coi denti, sembra affetto da un rictus. Ad ogni modo, per il tipo di spettacolo che è, è più che adatto alla parte.
Anche gli attori secondari, di cui alcuni sono abbastanza caricaturali (per esempio la sorella di lei e la madre di lui), si comportano più che bene e contribuiscono a portare in porto un drama più che apprezzabile, veramente godibile.
Ma, in definitiva, il punto di forza di questo drama è la fiera dei buoni sentimenti. Pur se è vero che grandissima parte dello show viene dedicata alla preparazione di piatti succulenti, i legami di amicizia e specialmente familiari hanno un'immensa importanza. È praticamente uno slice of life, ambientato principalmente nelle cucine. In realtà, accade molto poco. Le problematiche, le sfide, i pericoli sono generalmente di scala molto ridotta, anche se occasionalmente può capitare che qualcuno rischi la pelle. Non esiste un Big bad boss finale da battere, ma diversi piccoli Meschini personaggi che a definirli antagonisti si sarebbe loro un grosso favore. È però molto bello vedere come certi personaggi inizialmente visti appunto come rivali e o antagonisti, diventino poi parte dell'entourage della nostra cuoca. In realtà forse sono stata un tantino esagerata nella valutazione di questo drama, posso solo addurre a mia discolpa il fatto che raramente ho visto uno spettacolo così rilassante e piacevole e che è riuscito a portarmi alla fine di 30 lunghi episodi senza farmi mai annoiare pur disponendo tutto sommato di una trama semplice, lineare e poco ansiogena. Chapeau.
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Tra adorabili "gattini"
Due storielle vagamente educative suddivise in 4 episodi brevissimi. Veramente poco da raccontare. La vera forza di questo mini mini-drama è il casting. I tre "micetti" sono molto carini e hanno un viso dall'aria decisamente felina. Si sono anche calati molto bene nella parte: vederli giocare con vari oggetti è veramente spassoso, perché sembra di vedere davvero dei gatti che si litighino un giocattolo. Dalla postura, agli sguardi, ai movimenti, tutto grida GATTO! Non è un format che possa reggere una lunga durata, e infatti è perfetto così: una mezz'ora di tranquillo divertimento condito con qualche lezioncina.Was this review helpful to you?
Simpatico, guardare Song Joong Ki è sempre un piacere!
Simpatico show, da vedere quando si hanno un paio di orette scarse in cui scollegare il cervello e guardare qualche carineria.Song Joong Ki va a Tokyo da solo (beh, in realtà con almeno mezza dozzina di personale di staff!) per visitare diversi luoghi ma, soprattutto, per mangiare e farci vedere i vari cibi proposti in loco. Passiamo così per omurice, udon, sushi, sake, uova cotte nell’acqua sulfurea e varie altre prelibatezze.
Nel contempo, ci offrono delle mini interviste, in cui Song Joong Ki ci parla di famiglia, ricordi, carriera, benché all’epoca (2010) fosse praticamente solo agli inizi.
L’idea che ci facciamo di questo ragazzo, all’epoca ventiseienne, è di una persona molto dolce e simpatica, cortese con tutti e soprattutto col suo staff. E, non conoscendolo affatto, non si può fare a meno di chiedersi se sia così davvero o se sia tutta scena… Ad ogni modo, il suo sorriso è veramente contagioso!
Certo, non è uno show da rivedere: di bellezze paesaggistiche si vede veramente poco, e anche vederlo mangiare, dopo un po’ perde fascino. Ma, per i fan di questo attore, può essere sicuramente un modo soddisfacente di completare un percorso e poter dire: Ho visto tutto di lui, ma proprio tutto!
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Arthdal Chronicles Part 1: The Children of Prophecy
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Questa suddivisione in tre parti – ma su Netflix ci sono tutte le 18 puntate in fila – ad alcuni può essere risultata sgradevole, ma per chi si approcci al titolo solo ora è un discorso senza alcun valore.
La storia è ambientata nell’età del bronzo, e prende più di uno spunto dalla mitologia coreana. I Naeanthal, una razza di super umani che vive in armonia con la natura, dagli occhi e sangue di un azzurro vividissimo, vengono sterminati fino all’ultimo dai Saram, gli umani che sono posseduti dalla smania di possedere terre, ricchezze e potere. Rimangono alcuni Igutu, mezzosangue umano/Naeanthal, che hanno il sangue viola e capacità superiori, a cui viene data una caccia spietata.
Eunseom è uno di questi Igutu, che non sa d’esserlo, e viene accolto in una tribù che vive isolata, ma sarà ben presto aggredita dalle truppe dei Saram, guidate dal fortissimo Tagon. La lotta di Eunseom per salvare quel che resta della sua gente occuperà buona parte di questo primo corso, sullo sfondo di intricatissimi intrighi e lotte intestine, anche fra padri e figli – e figlie. Ma, alla fine, continuare a parlare della “tribù” Wahan diventa un po’ ridicolo: i sopravvissuti sono sì e no una dozzina.
C’è chi si lamenta che non sia stato spiegato abbastanza degli usi e costumi di questo mondo inventato. Personalmente, non mi sono trovata spaesata e, dopo un po’ di difficoltà, che trovo comunque guardando tutti i drama orientali, sono riuscita a districarmi fra le varie tribù/fazioni.
Quel che ho trovato, in abbondanza, è una grande cura per l’impatto visivo delle varie scene. Le ambientazioni sono varie e, quando occorre, relativamente ricche. Molti inseguimenti sono stati filmati in modo tale che mi trovavo ad ansimare con gli inseguiti. Trucco e parrucco sono veramente ammirevoli: specie nella tribù Wahan, quella di Eunseom, hanno fatto un lavoro egregio, anche nei costumi. Ho trovato molto gradevoli, ma forse poco coerenti, i costumi “cittadini” e degli eserciti, forse un pelino troppo moderni per il periodo che si vuole rappresentare. Ma, siccome si tratta pur sempre di un mondo di fantasia, tutto ci può stare. Il commento musicale non è forse molto vario, ma adeguato a quel che passa sullo schermo. Non indimenticabile, ma nemmeno disprezzabile.
Song Joong Ki, nella parte di Eunseom, è stato veramente perfetto, e d’altronde è un grande attore, che ha consegnato l’ottima interpretazione che da lui ci si aspettava. Kim Ji Won è stata la brillante interprete di Tanya, la discepola della Grande Madre della tribù Wahan, la Lupa Bianca. Come Eunseom, è nata sotto il segno di una profezia e la sua crescita interiore, la sua affermazione come Grande Madre, la riuscita nel comunicare col mondo degli spiriti avranno grande importanza ai fini della storia.
Tagon è l’eroe guerriero di Arthdal. Eroe solo per la sua gente, perché in realtà si comporta come i colonialisti europei di qualche secolo fa, se non peggio. E’ un uomo fortissimo e intelligentissimo, sin da bambino disprezzato e temuto dal padre, che è il capo dell’Unione delle tribù Saram. Anche questo conflitto sarà basilare per le vicende.
Cosa non mi è piaciuto? In realtà c’è stato un momento in cui mi sono sentita un po’ stranita: in una scena, un personaggio si atteggia a divinità scesa in terra, con un vestito bianco, capelli castani sciolti, barba… Momento piuttosto cringe. Ma passa in fretta.
In definitiva, esperienza in generale molto più che positiva, per quanto monca. Per fortuna posso saltare subito alla seconda parte. Corro!
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La prima cosa da sapere, prima di visionare il titolo, è che il mistero principale non viene completamente chiarito: la scena finale ci dà a intendere che c’è un ulteriore strato di cipolla da pelare, per così dire. Apparentemente, il film Don't Call It Mystery: The Movie, etichettato come sequel e che si presume sarà disponibile nell’autunno 2023, non verterà su queste indagini. Il sunto disponibile non ne fa menzione e, soprattutto, su Mydramalist la lista degli attori, forse ancora parziale, per il momento non vede Nagayama Eita nel cast.
Ad ogni modo, i curiosi possono aspettare la pubblicazione in Italia del manga, che potrebbe arrivare presto. Incrociamo le dita. Rimanere in sospeso non è mai una bella cosa.
Protagonista assoluto del drama è Totono Kuno, interpretato da un brillante Suda Masaki, uno studente universitario di psicologia con una gran testa di capelli ricci, che sono un po’ il suo cruccio, e con una gran passione per il curry. Kuno ha una memoria prodigiosa, è intelligentissimo e ha capacità di osservazione fuori dal comune. L’insieme di queste qualità è perfetto per la risoluzione di misteri, ma lo rende anche un po’ distante dai suoi simili, in difficoltà nel relazionarsi con possibili amicizie o situazioni romantiche. La cosa sembra peggiorare ulteriormente quando vicino a casa sua viene scoperto il cadavere di un compagno, e tutti gli indizi sembrano puntare su di lui, ma… niente paura! I poliziotti non hanno idea di chi si siano messi in guardina, e il nostro ci metterà poco a scagionarsi e a risolvere brillantemente il mistero, elargendo, per buona misura, numerose perle di saggezza agli investigatori.
Da lì, sarà spesso chiamato in aiuto per risolvere circostanze ingarbugliate, quando non saranno proprio queste situazioni a venirlo a cercare, ovunque si trovi, perfino in ospedale! In realtà sembra che il povero Kuno abbia una calamita che attira invariabilmente matti, assassini e personaggi particolari, per cui si trova sempre in mezzo a situazioni misteriose e spesso pericolose, riuscendo sempre a trovare il bandolo della matassa.
La personalità di Totono Kuno ti prende a poco a poco. E’ un solitario anche perché può risultare molto respingente: col suo fare dimesso e in tono ingannevolmente piatto spara bordate ad alzo zero senza risparmiare nulla e nessuno. Le vicende presentate sono molto tristi e deprimenti, parlano di situazioni familiari insostenibili, di malattie, assassinii, serial killer. Come se non bastasse, il nostro sputa addosso al malcapitato di turno e quindi, per interposta persona, allo spettatore, un concentrato di amarissime verità. La cosa può diventare irritante e stucchevole, i primi episodi sono forse i più densi di queste situazioni, e devo dire che mi hanno disturbato un po’. Sarà la mia coda di paglia?
Alla fine, comunque, non si può fare a meno di lasciarsi stregare dall’involontario detective, di cui si intuisce un doloroso passato, al pari di quello di altri personaggi che ci vengono presentati. I vari casi che vengono risolti si rivelano pian piano per essere, in qualche modo, collegati in un affresco comune, e questa è una gran bella cosa. Meno piacevole è, invece, che le vicende procedano a volte “aiutate” da scempiaggini poco credibili o da casualità spicciole, coincidenze che solo in Dramaland possiamo vedere. In una occasione pare ci sia addirittura un accadimento paranormale e, a mio gusto personale, in una storia di questo tipo ci sta un po’ come i proverbiali cavoli a merenda.
La sceneggiatura è però per lo più abbastanza intelligente, ricca di colpi di scena, e non tutti prevedibili, con continue sorprese e molti rovesciamenti di fronte. Mai, come qui, si deve fare il verso a Labyrinth: tutto non è sempre come sembra. In tutta sincerità, bisogna però dire che la trama procede con molti cliché. Per esempio il genio un po’ strambo e magari dal triste passato, l’abbiamo già visto in tutte le salse, le persone che incontra che vengono in qualche modo “salvate” o che tramite lui imparano a guardare le cose sotto altri punti di vista, o a non mentire a se stesse, non sono propriamente nuove, e così via. La polizia, per quanto presente, non sembra essere particolarmente efficace e pare esistere solo per dare un’aura di ufficialità a certe situazioni che sarebbero altrimenti molto più incredibili di come sono presentate.
Ma si perdona quasi tutto perché questa serie ha un gioiello magico che le permette di superare ogni difficoltà: Suda Masaki. E’ la sua brillante interpretazione a reggere buona parte del drama, e a reggerla bene. Triste, perplesso, stupito, meravigliato, felice (normalmente, per essere riuscito finalmente a mangiare il suo curry, visto che viene sempre interrotto), senza dimenticare spietato, quando recapita i suoi numerosi colpi bassi verbali: in ogni circostanza la sua presenza sullo schermo basta a in-trattenere l’attenzione dello spettatore.
Quando dico che Suda Masaki è la colonna portante della serie, non bisogna però dimenticare che si tratta pur sempre di un’opera giapponese, con tutti i suoi peculiari manierismi. La recitazione è spesso plateale, i gesti sono esagerati, da parte di molti dei protagonisti. Assistiamo comunque ad un esperimento abbastanza riuscito di fusione tra gli elementi umoristici, che non sono mai eccessivi, con i numerosi elementi drammatici, anche sanguinosi.
Lo sbocciare dell’amicizia, o di qualcosa di più, con la misteriosa Raika (Kadowaki Mugi) così come il rapporto con l’impenetrabile Garo (Nagayama Eita), biondino che pare interessato a Kuno (e ricambiato?) in maniera forse più che amichevole, ci dà un assaggino di coinvolgimento romantico non molto sviluppato. Anche alla poliziotta Seiko (Ito Sairi) forse non dispiacerebbe conoscere un po’ meglio il piccolo genio ma… almeno in questa serie, non s’ha da fare.
Una colonna sonora gradevole sicuramente aiuta molto il coinvolgimento emotivo nelle vicende: Chameleon, dei King Gnu, si è ascoltata diverse volte con molto piacere, così come sono stati spesso azzeccati molti brani di musica classica.
In sunto una serie che, al netto di qualche colpo basso di troppo alla coscienza dello spettatore, e di qualche colpetto forse eccessivo per indirizzare la trama, riesce a mantenere alti l’interesse e la tensione fino in fondo. A patto, beninteso, di non farsi infastidire troppo dallo stile di recitazione giapponese. Bisogna farci l’occhio, ma ci si abitua in fretta.
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Storia gonfiata, attori così così
Drama di genere [i]danmei[/i], tratto dal libro "Faraway Wanderers” di Priest, autrice principalmente di storie BL (Guardian, Legend of Fei, Justice in the Dark), in 36 episodi da circa 45 minuti, più un breve epilogo.Si narra, con molta dovizia di contorno, dell’evoluzione del rapporto tra Zhou Zi Shu, ex capo di una setta di assassini (Zhang Zhe Han), e il misterioso Wen Ke Xing (Gong Jun), che gli fa una corte spietata. I due rimangono coinvolti in una lotta fra varie fazioni, tutte alla ricerca dei vari frammenti di un oggetto che dovrebbe consentire l’apertura di una fortezza a guardia di una preziosissima armeria.
Che dire? Rivedendolo 2/3 anni dopo, scopro che il ricordo splendido che ne avevo non era coerente con l'opera: lo avevo idealizzato. Erano i primi drama cinesi che guardavo, BL per giunta, e tutto era nuovo e bello. Pensavo che la recitazione cinese fosse tutta così ma... col senno di poi, devo ammettere che sono proprio loro ad essere poco più che mediocri, almeno in quest’opera specifica.
Zhang Zhe Han è stato a lungo il mio preferito, probabilmente per via di questo drama. Ma, rivedendolo ora, mi rendo conto che ha poche facce, non particolarmente efficaci, e alla fine è solo carino in certi costumi, bello da guardare, ma niente di cui scrivere a casa. Non che quello che gli hanno fatto in patria sia giusto, intendiamoci, ma come attore non è niente di speciale. Lo stesso dicasi per Gong Jun. Bellissimo, forse anche più di ZZH, specie nell'abito rosso, ma... lasciamo perdere. Ci sono bravi attori fra le spalle e i personaggi secondari, ma se ti ritrovi a fare una smorfia guardando la coppia principale vuol dire che c'è un problema. E fosse solo quello!
Se la recitazione dei personaggi principali è a tratti forzata e teatrale e comunque spesso poco coinvolgente, la CGI è abbastanza penosa. La storia sarebbe anche interessante, ma è talmente circonvoluta e gonfiata da scoraggiare. Le sotto trame hanno le sotto trame... Esagerando, potrei dire che le uniche cose veramente buone sono i costumi, l'aspetto dei protagonisti e l'ottima colonna sonora. Un po' pochino. Beh, aggiungiamoci il flirt: simpatico, via. Il duo protagonista ha una buona chimica, sullo schermo. Grottesco, se si pensa alla successiva evoluzione del rapporto fra i due attori nella vita reale, che ora non si può certo dire siano amici.
Fuori dall'esagerazione, accettando il fatto che sia un'opera a basso budget, con tutto quel che ne consegue, e preparandosi spiritualmente a seguire una lunga epopea piena di fronzoli inutili ai fini della trama principale, si tratta di un titolo potabile, ma che non giustifica l'immenso hype che l'ha circondato e che ha decretato l'improvvisa ascesa a star del duo principale, precedentemente di poca nomea.
A mio personalissimo parere, il motivo di tanta fama è unicamente il fatto che si tratti di un titolo BL, genere in precedenza abbastanza sconosciuto in Cina, che ha goduto di una breve ed esplosiva stagione di gloria prima di essere spietatamente eliminato dai palinsesti ad opera delle forbici censorie. Ci sono molti titoli [i]danmei[/i], già pronti per andare in onda, che non ricevono il permesso per la pubblicazione e chissà se vedranno mai la luce. Quanti soldi sprecati!
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Non so cos'ho visto ma...
Proprio vero che Ji Sung può fare qualsiasi cosa. Johnny Depp? Levati!Da quel che ho letto in giro pare che l'ispirazione di questo corto sia presa dalla tragedia del traghetto di Sewol. Un avvenimento tragico, da cui hanno tratto questo gioiellino, che ho trovato rispettoso dei morti e, al contempo, esteticamente interessante e anche leggermente sensuale. Tutti e quattro gli attori hanno recitato alla grande, il commento musicale ha contribuito con atmosfere lugubri e misteriose.
L'ambientazione in un obitorio è da brividi.
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Commediola infantile con aspirazioni sociali
Breve commediola romantica nipponica apparentemente destinata ad un pubblico di giovanissimi, ma con qualche considerazione morale a condire una pasta altrimenti insipida e completamente senza sugo.La prima considerazione da farsi è che la locandina del drama è completamente fuorviante: gli abiti e la scena rappresentata non si ritrovano in alcun momento della serie e non potrebbero essere più diversi da quelli che sono i due protagonisti.
Shikamori Umi è una giovane impiegata che lavora ad un talk show e viene sfruttata in turni di lavoro massacranti dal suo capo, al punto da non dormire per giorni di fila. La situazione cambia quando lascia il lavoro e viene assunta alla Animal Beauty, una società che si occupa di trucco e bellezza: si tratta di un ambiente molto più friendly (in modo poco plausibile), giovane, fresco, innovativo e frequentato da un sacco di bella gente. Un fotografo, il presidente della società e, per certi versi, anche il suo vicepresidente e diversi altri personaggi, paiono tutti gravitare intorno a Umi e, in un modo o nell’altro, a interessarsi a lei.
Sarebbe però sbagliato pensare a questa serie in termini di solo romanticismo. Si affronta un tema molto attuale in Giappone: quello degli eccessivi carichi lavorativi scaricati sui dipendenti, che sono spesso costretti a fare più ore dell’orologio, rinunciando alla vita familiare e sociale, al punto da arrivare ad ammalarsi e, in casi estremi, anche a morire. La nostra Umi affronta quindi un percorso di riflessione, autoanalisi e crescita, che la porta a comprendere se stessa e quello che vuole dalla vita. Nel frattempo, troverà anche l’amore.
Ora, non posso dire che questa serie mi abbia soddisfatto. La recitazione è spesso eccessiva, i dialoghi a volte forzati, la gestualità esagerata, e non sono rari i momenti di imbarazzo di seconda mano per quello che accade sullo schermo. Le ragazze, e specialmente la protagonista, sono descritte in modo molto infantile: Suzuki Airi viene fatta agitare e strillare come un’oca e corricchia spesso qua e là come una gallina senza testa. Altre volte, invece, la sceneggiatura la porta a correre come una pazza per mezza città per arrivare a destinazione. I taxi, questi sconosciuti…
Per quanto il lavoro al talk show sia mostrato in modo abbastanza verosimile, quando l’ambientazione si sposta alla Animal Beauty le cose diventano molto meno plausibili: più che una società sembra una gabbia di matti. Ho avuto spesso l’impressione di guardare un anime interpretato dal vero.
Per carità, il tutto è ancora abbastanza godibile, a patto di accettare le cose così come ci vengono mostrate, senza assolutamente porsi domande sulla logica di ciò che accade e sorvolando sull’estremo infantilismo delle vicende. Bisogna anche superare lo scoglio degli ultimi due episodi, terribilmente rarefatti e noiosi, almeno fino al finale che, in buona tradizione Dramaland, dipana negli ultimi minuti tutte le matasse e ci elargisce tre coppie in un botto solo, regalandoci nel contempo anche un sottilissimo profumo di BL.
Al netto delle particolarità della recitazione della protagonista Suzuki Airi, che abbiamo già detto costretta a performance da macchietta, in realtà questa ragazza, quando non le viene imposto altrimenti, è molto brava, sia nei momenti allegri che in quelli più drammatici. Anche Honda Kyoya, che interpreta il fotografo, è una spanna sopra gli altri, e Izuka Kenta, il burbero vice, se la cava benissimo ed è molto piacevole. Al contrario, il CEO Jin Shirasu è piuttosto piatto e poco coinvolgente: non pervenuto. Il cast secondario agisce come mero contorno, e fa semplicemente il suo lavoro.
Una particolarità di questo drama è che ci sono alcune situazioni pregnanti in cui cessa qualsiasi sottofondo musicale, lasciando la scena completamente muta, e la cosa è abbastanza originale da essere notata. Purtroppo, però, si nota anche una certa mancanza di affiatamento di coppia in quella principale, che dovrebbe essere uno dei punti fermi della serie, e non coinvolge affatto.
Un commento musicale generalmente abbastanza anonimo, costumi vari ma decisamente lontani dai nostri gusti e una cinematografia semplice completano la disamina di questo drama, che vanta anche un minuscolo sequel, intitolato Animals: Kikoku-hen.
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Quando inizio una recensione con un pistolotto a favore dell’attore di turno, normalmente è perché ho trovato dei difetti altrove. Questa non è un’eccezione.
Ma andiamo con ordine. Lawless lawyer è un drama sudcoreano di durata canonica: 16 episodi da circa un’ora ciascuno, per la regia di Kim Jin Min (Extracurricular e My name) e la sceneggiatura di Yoon Hyun Ho (Military Prosecutor Doberman).
L’avvocato Bong Sang Pil (Lee Joon Gi) torna a Gisung, la sua città natale, dopo esserne stato lontano 18 anni. All’epoca, la madre avvocata era stata assassinata davanti ai suoi occhi di bambino e solo rocambolescamente era riuscito a fuggire ai malviventi che volevano ucciderlo e a raggiungere lo zio, a capo di una gang di Seul, che lo aveva cresciuto ed educato alla lotta ed alla legge. Ora, con l’aiuto di un’altra avvocata, Ha Jae Yi (Seo Yea Ji), la cui madre fotografa scomparve lo stesso giorno della morte della sua, cercherà di vendicarsi e di consegnare alla legge la cricca dei malviventi che, dietro una facciata di perbenismo, spadroneggia nella città, sotto la direzione della giudice Cha Moon Sook (Lee Hye Young) e del gangster Ahn Oh Joo (Choi Min Soo), che si atteggia a presidente di una società immobiliare.
Come spesso accade, la prima metà della serie è godibilissima. La tensione è spesso palpabile, si costruisce una solida impalcatura di misteri stratificati, in cui gli accadimenti del passato riverberano nel presente. Le schermaglie fra i due protagonisti sono molto godibili. La faccia da simpatico mascalzone di Lee Joon Gi ben si appaia alla bellissima (e brava) Seo Yea Ji e i due sviluppano sullo schermo una relazione molto gradevole e credibile, anche se la sezione romantica del loro rapporto ha uno spazio ridotto. La giudice che tira le fila di tutti i complotti è algida e feroce come un ragno nel centro della sua ragnatela e il gangster è doverosamente odioso, forse troppo. La caratterizzazione che ne fa Choi Min Soo è veramente sgradevole: manierismi da incivile e pesante accento dialettale, protratti per tutta la serie, alla fine lo rendono abbastanza repellente (per quanto questa mia opinione non sia condivisa da una buona parte dei commentatori di Viki).
Passati i due terzi del drama, però, la corsa al redde rationem finale diventa più spettacolarizzata e meno logica e verosimile. Si avverte chiaramente che alcune cose accadono per esigenze di trama, alcuni personaggi si comportano in maniera illogica, se non stupida, mentre si assiste a salvataggi poco plausibili. L’apoteosi dell’assurdo avviene nel processo finale, che tutto è tranne un’udienza di tribunale. La sconfitta dei vari cattivi ha luogo in maniera piuttosto affrettata e lascia un po’ di amaro in bocca, ma gli ultimi minuti ci lasciano sperare in una seconda stagione, o danno comunque un’impronta molto ottimistica di quello che sarà il futuro dei due avocati.
Il fatto che in Corea, almeno nominalmente, le armi da fuoco non siano di reperimento comune, giustifica diverse scene di scazzottature di gruppo, molto energiche e appassionanti, ottimamente coreografate e magistralmente eseguite, fra gli altri, dal nostro protagonista, uno scricciolo d’uomo, particolarmente in questa serie, che lo vede molto dimagrito, ma sempre in ottima forma nell’eseguire diverse vigorose evoluzioni. Da notare che Lee Joon Gi, per quanto possibile, evita di fare uso di stuntman, ed esegue personalmente la maggior parte delle scene. Sicuramente la sua conoscenza di diverse arti marziali lo aiuta.
E’ piacevole vedere il percorso di crescita caratteriale di diversi personaggi, che acquistano spessore. Se la coppia principale viene abbondantemente seguita, al gangster viene riservato diverso tempo, che ci porta a conoscenza del suo passato e delle sue motivazioni, così pure come alla “maggiordoma” della giudice, una sgradevolissima e sguaiata supponente, che si fa forte del suo rapporto con lei. Purtroppo non altrettanto generosamente viene trattata la gang dei teppistelli che nominalmente aiuta Bong Sang Pil ma che, di fatto, serve esclusivamente a farci fare qualche risatina e non produce alcun effetto nel proseguire della trama. Paradossalmente, è poco sviluppata anche la psicologia della burattinaia che manovra i fili: avida, spietata, affamata di potere e riconoscimenti, ma piuttosto piatta e monocorde.
Al netto dell’interpretazione di Choi Min Soo, che può piacere o meno, ma che comunque denota uno studio caratteriale del personaggio (gangster) straordinario e un'esecuzione favolosa, tutto il cast ha recitato in maniera impeccabile: la coppia principale ha fatto letteralmente faville, ma tutti i personaggi di contorno, fino alle comparse, hanno fatto un lavoro eccelso. La colonna sonora, pur non essendo eccezionale, ha accompagnato piacevolmente l’azione e la cinematografia non ha lesinato inquadrature particolari e scene costruite gradevolmente.
Se solo non ci fosse stato qualche scivolone di troppo nel fluire delle vicende alla fine, avrei dato anche un mezzo punto in più. Peccato. Resta comunque un ottimo titolo thriller d’azione, che mi sento di raccomandare a chi non si arrabbi troppo se alla fine le cose vanno un po’… come le fanno andare.
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